
Il lunedi’ era il giorno del bucato ( la
bugada). Perché, di norma, la domenica si cambiavano le lenzuola.
Una specie di rito, sempre uguale .
Già di buon mattino le donne riempivano con acqua bollente e sapone in scaglie o lisciva grandi mastelli di legno ( i
segiun) e ci lasciavano in ammollo la biancheria , ben divisa: lenzuola, tovaglie,asciugamani, fazzoletti da una parte,colorati dall’altra. Gli indumenti di lana venivano lavati in acqua fredda, senza ammollo. Un doppio ammollo era invece previsto per le tute blu indossate dagli operai ..perchè nelle case di ringhiera, che erano di proprietà del “padrone”, ci abitavano gli operai. Per gli impiegati il” padrone” aveva previsto altri tipi di abitazione..
Dopo qualche ora i
segiun venivano portati giu’, nella corte, e precisamente nel lavatoio.
Era un lavoro faticoso , perché il peso era notevole e, ovviamente , si scendeva a piedi.
Il lavatoio della casa di ringhiera, coperto da un tetto di coppi,su cui sonnecchiavano i gatti, era composto da una serie di vasche in granito e da uno scolatoio per l’acqua: qui i panni venivano lavati a mano, all’occorrenza spazzolati con una spazzola in saggina , risciacquati
Per le donne era un’occasione di incontro, ma anche di allegria ( spesso intonavano canzoni popolari), e non ultima come importanza, la possibilità di scambiare “pettegolezzi”
Infatti “I omen vann a l’ustaria per bevutà e sacranà e i donn vann al fiumm per resenta’ e sabetà”
“Gli uomini vanno all’osteria per bere e dire..sciocchezze e le donne vanno al fiume per risciacquare e per ”sabetare “, termine dialettale che significa proprio “far pettegolezzi”:l’osteria e le chiacchiere erano un modo per trascorrere il tempo in compagnia.
L’occasione era ghiotta anche per noi bambini:potevamo immergere le mani , fino a farle diventare viola, nella grandi vasche, con un pezzo di sapone e un fazzoletto da lavare, rilavare , sciacquare, risciacquare.
Ricordo che l’acqua, insieme alla terra della corte, era una delle componenti dei nostri giochi.
E alla fine era un trionfo di panni svolazzanti stesi ad asciugare.
I bambini, allora, che partecipavano fino in fondo al rito della bugada, si rincorrevano tra le lenzuola, le utilizzavano come nascondiglio, accompagnati dalle minacce delle mamme e della nonne..”guarda che
le prendi!” “ ..questa sera , quando torna tuo papà,
vedi!” E inseguiti dalla Elda, la portinaia , che brandiva una scopa di saggina …
In realtà per noi era un gioco, ma le nostre mani, sulle lenzuola pulite, lasciavano impronte nero fango che erano una delizia.
Le lenzuola, una volta asciutte, venivano “tirate” e piegate da due donne ( ahimè, ci escludevano perché eravamo piccoli, nel senso di bassi, e facevamo toccar terra alla biancheria), seguiva poi la stiratura con il ferro prima con la brace e poi elettrico.Di ferro a vapore si parlerà molto dopo..
Le lenzuola erano quelle della dote, a volte in lino e ricamate a mano,che, nate come piccoli gioiellini, dopo qualche anno di matrimonio mostravano qualche segno di usura e qualche rattoppo. Vuoi perché erano sempre le stesse a “girare”, vuoi perché i prestanti operai della ferriere, ancorché affaticati, facevano un grande uso del talamo..d’altra aparte , si sa ,quello è l’unico divertimento, gratuito, per chi nasce e vive da povero.Se potessero parlare , quelle lenzuola..
Di tutto cio’ quello che mi rimane in mente, e anche nel cuore, è il ruvido delle lenzuola appena messe nel letto ( già, l’ammorbidente non esisteva!) e il profumo del sapone di Marsiglia e del sole..
Ho sempre avuto ricordi legati a percezioni fisiche, piu’ che a sentimenti..
Se chiudo gli occhi
rivedo i colori, sono in grado di
annusare il profumo che non c’è,
sento sulla mia schiena la tela ruvida…